domenica 29 novembre 2009
digitale terrestre
Mi faccio la barba. “L’aspirazione al pensiero non riguarda chi si perde nel riflesso di un vetro”, vado a pensare sguardo allo specchio.
La pubblicità per le strade rimanda a schermi con telefono, schermi con navigatore, schermi con lettore mp-infinito. In macchina immagino di essere la proiezione di un mondo digitale ad alta risoluzione.
Nel buio della sera ogni parete si rifà il look per travestirsi da televisore. Lo sguardo salta da un’immagine all’altra: il traffico in città, la strada da fare, prodotto qualsiasi samsung, videomessaggio dall’altra parte del mondo, l’autovettura dell’anno in 3milioni di pixel al settimo piano di una torre …Quanti secondi a disposizione per elaborare un messaggio..?
Ma che voleva dire George..?
Mi faccio due caffettiere al giorno per tenere le sinapsi in allerta ma non riesco nemmeno a focalizzare i titoli del tg della sera, quando rientro.
Accarezzo il vetro antiriflesso mentre l’immagine lascia lo spazio ad un’altra, e ad un’altra, e ad un’altra ancora … mi addormento dopo aver dato un ultimo sguardo al cellulare … a lui l’onere del buongiorno.
venerdì 15 maggio 2009
venerdì 17 aprile 2009
pura rappresentazione
tagli di stipendio da risolvere con un panino,
da riconoscere, in fondo un problema di poca rilevanza.
Poi siamo fortunati stiamo qui, insieme, stiamo parlando.
A lamentarci,
di cosa, infine?
Lo sappiamo bene quanto vale tutto questo, no?!
No. Siamo mentirosi,
e se pure intelligenti ci bendiamo gli occhi, continuamente.
Mi azzardo a domandare qualcosa,
ma le risposte non ci sono,
e noi ci accontentiamo che ci vengano negate.
P.S.: Quanti uomini liberi conosciamo?
P.S.S: http://www.youtube.com/watch?v=vkFPNZ4369E
lunedì 13 aprile 2009
post crisis 2
Ci si chiede un pensiero lungo ora, uno famelico e acuto insomma.
Proprio a noi che siamo autori di una generazione fatta di pensierini.
Proviamo a mettere un annuncio sui cassonetti o i suoi pali della luce :
Bisognera’ lavorare a lungo sui quei banconi dei bar prima di uscire in strada con qualcosa da dire, e con il modo giusto per dirlo, con i tempi lenti dello sguardo e del pensiero lungo.
Buon lavoro a tutti.
Luca
domenica 12 aprile 2009
Post crisis
Berlinguer parlava del pensiero lungo. Di un pensiero che trascende il tempo. Un pensiero che racconta una, tante storie, come quelle che pubblicate qui. Un pensiero acuto, che dai dettagli ricostruisca i contorni delle cose. Un pensiero famelico, affamato di una fame antica, affamato di carne vera, genuina, grondante di proteine. Di vitamine, di sostanza. Se ci manca l’appetito, quando mai ci sazieremo?
Un attimo di concentrazione, questo è il mio post. Necessito ancora della vostra attenzione. Vorrei dirottarla ancora verso la valigia, la valigia di cartone che contiene un mondo. Da svuotare e riempire di uno nuovo, un mondo post crisi economica, post crisi energetica, post crisi ambientale, post crisi culturale. Post crisis.
Vorrei che fossimo più vicini, che ci parlassimo ogni sera, dopo il lavoro, davanti al bancone di un bar. Vorrei che le nostre braccia penzoloni cominciassero a sudare. Che ci scambiassimo sguardi di curiosità. Che lavorassimo insieme. Con il pensiero rivolto al futuro, futuro, futuro (che parola stimolante!).
No, non vogliono essere solo parole. Sono un pensiero lungo. Rivolto a voi, ragazzi.
davide
venerdì 6 marzo 2009
06 Marzo 2009
martedì 24 febbraio 2009
Violette
Stordito dalle secrezioni alla violetta di centinaia di migliaia di geyser impazziti mi rifugiai al riparo dal tran tran della strada imboccando lo spiraglio tra il portone ed il suo telaio mentre una signora alto borghese in tailleur e cappellino si apprestava a mettere i suoi tacchetti da otto centimetri sui luridi marciapiedi della città accompagnata nell’impresa dai suoi due ridicolmente acconciati chiwawa a pelo corto. L’androne del palazzo, degno proscenio di rifugi marmorizzati dai pendagli di boemia, si sviluppava in un lungo corridoio tutto specchi e moquette vinaccia. Dal tentennamento che si impossessò del mio piede destro nel poggiarsi sul soffice pavimento mi resi conto che avrei fatto meglio a trovarmi rapidamente un solido appoggio prima di stramazzare a terra colpito da nausee e conati.
Mi accostai alla mia sinistra alla porta oblò-dotata del portiere e quando constatai la sua puntuale assenza, raccogliendo le mie residue energie, la forzai manomettendo la serratura ed entrando nella piccola dépendance in penombra. Feci appena in tempo a sbottonarmi il colletto della camicia prima di abbandonarmi esanime sulla sedia imbottita, provvidenziale nel sostenere le mie membra inermi. E così, chiusi gli occhi, iniziai a sognare …
venerdì 20 febbraio 2009
macherazzadiincuboèquesto?
E festeggiamo! Da lunedì l’Italia è più forte e unita di prima. Finalmente anche la Sardegna ha aderito al progetto dell’ex FORZA ITALIA e dopo il progetto di un ponte per avvicinare la Sicilia ad Arcore, ora aspettiamoci un’altra boutade, che ne so, una Tav tra la Versilia e la Costa Smeralda, per esempio.
Ma prima o poi accadrà l'inverosimile!, l’Italia sarà “commissariata dalla Commissione Europea”, e finalmente si cambierà aria: un presidente del consiglio svedese, ministro degli esteri francese, economia a un tedesco, istruzione danese, interni ad uno spagnolo, salute all'Olanda … ed i nostri amati politici spediti in esilio a Guantanamo ospiti di Obama per un corso di recupero in democrazia partecipata. Yes, we can!
sabato 14 febbraio 2009
Dove siete finiti?
E se dovessimo perdere Saviano perderemmo uno dei pochi simboli viventi del coraggio di credere nei nostri desideri, diritti, ideali. Pensate a lui non solo richiamando le sue pagine scritte, ma facendo un piccolo sforzo, proiettatevi al suo prossimo romanzo, alla sua prossima sfida a viso aperto, alla sua prossima scomunica. Non possiamo permetterci di perdere una mente come la sua, una mente come la nostra, una mente come quella di una ragazzo del ’79 …
Pensateci, nel nostro paese il silenzio è contagioso, il coraggio no.
lunedì 9 febbraio 2009
mercoledì 4 febbraio 2009
quando il bambino era bambino
quando il bambino era bambino, non sapeva d'essere un bambino. per lui tutto aveva un'anima, e tutte le anime erano tutt'uno.
quando il bambino era bambino, su niente aveva un'opinione. non aveva abitudini. sedeva spesso a gambe incrociate, e di colpo sgusciava via. aveva un vortice tra i capelli, e non faceva facce da fotografo.
quando il bambino era bambino, era l'epoca di queste domande: perché io sono io, e perché non sei tu? perché sono qui, e perché non sono lí? quando é cominciato il tempo, e dove finisce lo spazio? la vita sotto il sole, é forse solo un sogno? non é solo l'apparenza di un mondo davanti a un mondo, quello che vedo, sento e odoro? c'é veramente il male? é gente veramente cattiva? come puó essere che io, che sono io, non c'ero prima di diventare? e che un giorno io, che sono io, non saró piú quello che sono?
quando il bambino era bambino, per nutrirsi gli bastavano pane e mela, ed é ancora cosí.
quando il bambino era bambino, le bacche gli cadevano in mano, come solo le bacche sanno cadere. ed é ancora cosí. le noci fresche gli raspavano la lingua, ed é ancora cosí. a ogni monte, sentiva nostalgia di una montagna ancora piú alta, e in ogni cittá, sentiva nostalgia di una cittá ancora piú grande. e questo, é ancora cosí. sulla cima di un albero, prendeva le ciliegie tutto euforico, com'é ancora oggi. aveva timore davanti ad ogni estraneo, e continua ad averne. aspettava la prima neve, e continua ad aspettarla.
quando il bambino era bambino, lanciava contro l'albero un bastone, come fosse una lancia. e ancora continua a vibrare.
L'angelo Damiel, ne "Il cielo sopra Berlino", di Wim Wenders
giovedì 29 gennaio 2009
allibito
Il pettirosso - Gino Paoli
Aveva gli occhi come un pettirosso era una donna di undici anni e mezzo si alzò la gonna per saltare il fosso aveva addosso un vestitino rosso.
Mentre passava in mezzo a quel giardino di settant'anni incontrò un bambino voleva ancora afferrare tutto e non sapeva cos'é bello e cos'é brutto
e l'afferrò con cattiveria lei si trovò le gambe in aria lui che cercava cosa fare c'era paura e c'era male.
E il male lo afferrò proprio nel cuore come succede con il primo amore lei allora lo prese tra le braccia con le manine gli accarezzò la faccia così per sempre si addormentò per riposare come un bambino stanco di giocare
Ora di cose se ne sono dette tante ma a me sembra che nessuno abbia colto il punto.
Se si scrive una canzone su un fatto grave e verosimile anche se non reale, credo sia doveroso farlo dosando le parole perchè quello che dici deve essere comprensibile.
Ditemi voi come cazzo fa una bambina un attimo dopo essere stata stuprata ad avere un pensiero
razionale. E non parlo di perdono che certo se possibile è sempre un atto di coraggio straordinario. E non è forse questo un modo di sminuire un crimine orrendo?
Ora Paoli evidentemente o non sa di che parla o è un cretino o entrambe le cose, ma quello che mi lascia veramente perplesso è l'intervista di Fazio che non riesce minimamente a capire dove sia la gravità delle parole contenute nel testo. E il pubblico applaude forse distratto il che non sarebbe comunque una scusante. Sono allibito.
http://video.google.it/videosearch?sourceid=navclient&hl=it&rlz=1T4ADBF_itIT299IT299&q=poli%20fazio&um=1&ie=UTF-8&sa=N&tab=wv#q=%22paoli%20fazio%22&hl=it&emb=0
lunedì 26 gennaio 2009
oggettività fantasiosa
simply
Così vanno, come le suole delle clarks che ad un momento dato dimenticano il concetto di aderenza e ti rovesciano sull’asfalto bagnato. E quella allora si mette comoda comoda sdraiata tra l’orecchio destro e quello sinistro. Ma non è la prima volta, ci sei già passato, su per giù una a settimana e sai che si guarisce. Conosci tutta una serie di antidoti a questo ingombrante malumore. Beh, mica ti vorrai far vedere in queste condizioni dai tuoi amici/genitori/fidanzata/altro, no? Di venerdi sera, ma chi ti conosce!
Cammini veloce rischiando l’osso del collo ma quasi ci sei, giri l’angolo e già la vedi. L’insegna. Un bel giallo mela gialla. Non c’è nient’altro di così sparato sulla strada verso casa. Sfili lungo le 20 casse sfociando in un mare di disinibizione a 256 colori. Scaffali a righe e colonne incasellati così a cazzo da farti perdere un giorno per un tubetto di dentifricio, figurati quando entri solo per farti due passi. Tonno, pasta, cipolla, birra, insalata in busta, budino, latte UHT, coca cola … che cercavo, ah ecco!
venerdì 23 gennaio 2009
Prologo
Davanti al naso la parete. Dormo addossata ai muri, io.
Non riconosco questo spazio, solita sensazione di estraneitá. Decido di tornare a dormire un pò di piú. Ma non dormo. Penso al momento in cui ho iniziato a fare questo mestiere; a essere la funambola di questo circo sgangherato.
Mi ricordo arrivare sulla desolata piazza di periferia dove avevano montato il tendone. Ricordo che mi facevano male i piedi. Per mano avevo un bambino, il mio vicino di casa.
Fu la sola volta che feci parte del pubblico. Anche i miei occhi a far parte di tutti quegli sguardi ardenti puntanti sul saltimbanco di turno.
Provai invidia per quel pagliaccio, volevo per me quell'energia, assorbirla tutta, sentirla crepitare in me.
Finito lo spettacolo portai per mano Alfredo a casa, e lo lasciai li.
Imparai a camminare cosí, tra passi incerti, sviluppando una sensibilitá capace di percepire la minima oscillazione del filo. A nutrirmi di quella massa di sguardi increduli, che apettavano incoscienti una spettacolare caduta....
Ancora oggi, ogni giorno mi sostengono, sono la mia famiglia e il mio amante.
Ora controllo i filo come se fosse parte del mio stesso corpo.
A volte fingo di cadere, Vedo spalancarsi occhi e bocche, voglio che i bambini provino paura. Voglio che vedano scorrere un rigagnolo rosso, che sappiano che ha un sapore forte, il giorno che si faranno un taglietto per sbaglio con un coltello....
giovedì 22 gennaio 2009
la trincea
da "La Repubblica" del 21 Gennaio 2009
"Quei giornalisti coraggio che sognano un' altra Russia"
" MOSCA - Nella trincea del coraggio che si chiama Novaja Gazeta, il giornale di Anna Politkovskaja e, purtroppo, di Anastasia Babulova da lunedì non c' è spazio per le lacrime, almeno, non adesso. Bisogna preparare a tambur battente il numero speciale dedicato all' assassinio dell' avvocato Stanislav Markelov, il difensore dei ceceni, e di Anastasia Baburova, la stagista che aveva appena cominciato a lavorare scegliendo il terreno giornalistico più insidioso, quello di indagatrice di un mondo oscuro, inquietante, razzista, xenofobo, con protezioni misteriose: la multiforme e letale galassia della destra ultranazionalista. Bisogna reagire da «persone forti, che non si lasciano intimidire», dice un reporter mentre si affretta verso la sala delle riunioni, «dobbiamo soltanto essere fedeli a noi stessi, alla nostra quotidiana lotta contro le sopraffazioni, le ingiustizie, la corruzione, la violenza, il razzismo». Come? Lavorando. Continuando a scrivere. A denunciare: «Noi stiamo lavorando su temi scottanti, siamo consapevoli dei rischi», dice Sergej Sokolov, uno dei vicedirettori. Lo sapeva anche Anastasia. E Anna Politkovskaja, uccisa il 7 ottobre del 2006. La prima, ferma, dignitosa risposta è il giornale in edicola oggi, invece che domani. Con una copertina "forte", drammatica. Una grande foto che mostra il cadavere dell' avvocato Markelov, le macchie di sangue sulla neve rimaste anche ieri. E un titolo che è una dichiarazione d' intenti: "La paura non c' è". Lo spiega l' occhiello: "Gli assassini non hanno paura perché sanno che non saranno puniti. Ma anche le loro vittime non hanno paura. Perché quando difendi gli altri smetti di aver paura". Noi restiamo qui. Noi sfidiamo i nemici della democrazia, della giustizia. La trincea non solo sa difendersi, sa come reagire. Ha già pronta infatti la seconda risposta, approvata dallo stesso Gorbaciov che è uno degli azionisti: da oggi il bisettimanale diventa trisettimanale. Più inchieste. Più articoli che smascherano la corruzione e gli intrighi del Palazzo, che raccontano cosa succede nel Paese, che ascoltano chi è rimasto senza lavoro, che documentano lo sfascio dell' industria, i pasticci della finanza. Centoventicinquemila copie, un milione di lettori. Appena entri in redazione, al secondo piano di un palazzo anni Sessanta di Potapovskij pereulok, al numero 3, in Cistie Prudi, un quartiere centralissimo della vecchia Mosca: scalcinate rampe di scale, muri slabbrati, sensazione di abbandono. Non ci si può non fermare davanti al tavolino ricoperto da un drappo nero in segno di lutto, sistemato sulla sinistra, oltre l' ingresso: sul tavolo, la foto in bianco e nero di Anastasia - com' era bella e com' è dolce il suo sguardo; quella a colori di Stanislav, paladino dei deboli e di ogni minoranza, il volto di un ragazzo idealista, aveva appena 34 anni; e due telegrammi. Leggiamo. Uno arriva da Igor Sciogolev, ministro delle telecomunicazioni e dei mass media. Indirizzato a Dmitri Andreevic Muratov, il direttore. Scrive il ministro: «Vogliate gradire le sincere condoglianze in relazione alla tragica morte di Anastasia Bubarova vittima di un reato sfacciato. Purtroppo la vita di un giornalista è sempre in pericolo perché fa parte delle sue mansioni professionali dire la verità anche se queste verità risultano spiacevoli per certe persone. Spero che il colpevole della morte di Anastasia sia catturato al più presto». L' altro telegramma è stato dettato dalla città siberiana di Tomsk. L' hanno inviato i genitori di Igor Domnikov, il primo giornalista di Novaja Gazeta ucciso per le sue inchieste. Lo ammazzarono a martellate nove anni fa. Sono le sobrie condoglianze di chi ha già vissuto il dolore e la fatica di vivere in un mondo dove dire la verità, o cercare di dirla, significa aspettarsi qualcuno che ti picchierà a sangue o ti farà fuori. Come dire: non dimentichiamo. Non dimenticate. Ci si sente a disagio nel camminare lungo un corridoio e i suoi fantasmi - a sinistra le stanzette dei redattori, una è quella di Anna Politkovskaja, rimasta come l' ultimo giorno di lavoro: il computer, una foto, qualche cartella, un fiore. Chissà dove lavorava Anastasia, quale era la sua scrivania, quale il computer che utilizzava, quale parete fissava per perdersi nel suo vuoto e fantasticare, e immaginare il futuro magari cambiato grazie anche ai suoi articoli. Aveva compiuto 25 anni il 30 novembre. «Era molto timida, anzi no, riservata», ricorda uno dei vicedirettori, Nuszar Mikeladzr. Era di Sebastopoli, poi aveva deciso di trasferirsi in Russia, sognava di diventare la nuova Politkovskaja, era una militante di sinistra, vicina all' ex partito socialdemocratico, come l' avvocato Markelov che conosceva da qualche anno. Con lui aveva spesso denunciato scandali ambientali, o denunciato le efferate violenze della destra ultraradicale, o i soprusi nella Cecenia del presidente Kadyrov insediato da Putin. Era sposata, portava sempre una bandana sulla fronte e il suo "chiodo", il giubbotto di pelle. «In realtà, era sempre molto disponibile, aiutava sempre tutti, anche gli sconosciuti», dice Daria Klimenko che lavora al giornale web www.vz.ru, dove ogni tanto scriveva anche Anastasia. In fondo al corridoio della redazione di Novaja Gazeta, c' è una sorta di salone rotondo, la "piazza" su cui si affacciano gli uffici dei dirigenti. Su una colonna, la targa che ricorda Anna: "la cambieremo. Aggiungeremo il nome di Anastasia. Era molto brava, non correggevamo mai i suoi pezzi", ricorda Nadezdha Prusenkova, la portavoce del giornale".
LEONARDO COEN
da "La Repubblica" del 21 Gennaio 2009
sabato 17 gennaio 2009
Plaid
Con difficoltà abbandono il divano, rilascio i muscoli e scivolo sotto il plaid muovendo timidi passi verso la finestra. Lascio che il plaid si afflosci a terra. Ho camminato aspettando che il mio sguardo si facesse più lucido. Che la luce dell’alba invadesse la stanza e la mia retina, progressivamente. Ma tutto ciò non avviene. Lenti passi verso il cristallo doppio strato della mia stanza. Una fitta nebbia soffoca i miei pensieri. L’edificio di fronte dista appena trenta metri. Un reticolo di moduli in vetro e cemento. Perfettamente identici, tante finestre, tante persone, tante televisioni accese che propagano segnali luminosi con un ritmo incessante. Non resisto allo stimolo nicotinico. L’accendo. Fumo. L’accendo. Telegiornale. Edizione speciale che svela la causa dell’alzataccia. Sono crollate le torri. Il frastuono assordante. Le torri della finanza si sono afflosciate su loro stesse. Una notte d’estate come un giorno di settembre. E’ così che si risveglia l’economia. E’ così, pare, che si faccia piazza pulita. E’così che si prepara il terreno per l’invasione autorizzata dei nostri conti, delle nostre vite private, dei nostri movimenti, dei nostri pensieri. Pare.
venerdì 16 gennaio 2009
Non muoverti, praticamente.
A che pagina ero rimasto...? Dunque, il protagonista stava osservando la moglie spostarsi in cucina...il coltello...
ctrl+shift+F. Ricerca in tutto il documento .pdf.
Digito 'cucina'.
Tiè, beccati questa! Nientemeno che 28 risultati per la ricerca 'cucina' trovati nelle 148 pagine del documento.
La cucina. Elementary, dear me...l'autrice è rigorosamente ital...well, forse oriunda. I sacri valori della famiglia violati e la storia a latere di un trauma cerebrale.
Ecco qui!
'Ora si alza, va verso la cucina, ha quasi raggiunto la porta. La sua schiena diritta, i suoi magnifici capelli che sussultano nei passi. Prendo la mira al centro del suo corpo e le lancio il coltello...'.
Un ricordo mi sfiora, sorrido. L'arrotino...Arrota mannaie, trinciapolli, apriostriche! Donne!!
Mentre leggo percorro al rallentatore la mia cute con una leggera pressione delle dita, alla ricerca della linea di connessione delle placche che formano il cranio, calpestando nel tragitto ogni imperfezione della pelle.
Il cranio.
È l'ultimo modello di laptop Apple, il Mac Book Pro, costruito tutto d'un unico pezzo di alluminio che si piega su se stesso formando spigoli e curve. Leggero, sottile e solido. Perfetto.
Dove l'hanno costruito? È estruso? È fuso? Quando sfioro la sua scocca, sento appena palpabile sotto le dita il mantra sussurrato dell'oscillazione del disco rigido.
Starei lì a titillarlo per ore. Ma non ne possiedo uno.
Clem clem? Sapevatelo.
Il disco fisso di un portatile va che è un piacere. Vortica a seimila giri al minuto. Il cervello umano è solo fisso. Fermo. Per quanto poi:
- La puzza di benzina (......) quando sto su di lei.
- I dervisci rotanti...vogliono cogliere l'essenza intangibile di Dio, ruotando su se stessi, o piuttosto cercano di avvicinarsi alla perfezione dell'hard disc ricalcandone il moto?
Quando sotto lo scalpo ho trovato la mia sutura coronale, la imbocco con il dito medio e mi faccio guidare da lei nella sua breve traiettoria giù, fino all'intersezione con il muscolo temporale, sotto il quale la linea prosegue eludendo dalla superficie.
Senza di me, sola.
FANFALUCHE
mercoledì 14 gennaio 2009
sesembrasplattersenzasangue
mangio le unghie.
nervosamente mangio le unghie. poi arrivo là dove fa male. dove esce sangue. è confortante sapere che c'è sempre qualcuno con cui prendersela, se proprio. dicevo. arrivo là dove fa male. e invece. arrivo là dove esce sangue e sangue non esce. ci rinuncio. insomma, manco un po' di soddisfazione.
allora mi taglio. per caso lavando i piatti, che credete. un taglio nè piccolo nè grande sulla punta dell'indice destro. insomma. sento la lama del coltello del pane che entra e subito metto acqua e subito tampono. poi scosto il dito premuto sulla ferita per vedere che danno è. e niente sangue. insomma. nein. è gonfio il dito, ma resta color dito. mah. sarà iniziata la trasformazione, magari un giorno di questi sanguino verde. magari acqua, chessò. lo spero almeno. perchè così, asciutta, mi faccio specie.
Nel vicolo
Le sorrido.
Mi sorride, appena un po', con ironia: “È un sorriso di compassione questo?”
“No”, dico io, ora seria, “il tuo?”
Inaspettavatementemi
E neanche questa mattina mi sono svegliato di soprassalto.
La mia sveglia è un dispositivo di recente invenzione.
Trattasi di un'apparecchiatura dotata di un telefono senza fili tascabile, (ohibò!), con piccolo schermo luminoso su cui posso far comparire un elenco interattivo di numeri telefonici dei miei conoscenti. Così posso comodamente chiamarli, o inviar loro brevi lettere - fino a 1000 caratteri - ad un costo irrisorio, aiutandomi a sveltire la battitura del testo tramite un dizionario multilingue a ricerca automatica.
I miei conoscenti sono tutti dotati di una sveglia di simile fattura su cui potranno leggere immediatamente il mio testo, inalterato.
La mia piccola sveglia - peso 95g, dimensioni 105x43x11mm - mi permette poi di scattare e immagazzinare fotografie senza l’uso del rullino, filmare brevi video senza pellicola, collegarmi ad un sistema di comunicazione audiovisivo globale tramite il quale posso ricevere informazioni in tempo reale su qualsivoglia persona o avvenimento, luogo, cosa, concetto, opera e omissione.
La mia sveglia mi dirà, quando mi deciderò a svegliarmi, a che altezza del mio tragitto rischio di trovare traffico questa mattina andando al lavoro e mi suggerirà il percorso alternativo più breve.
E se continuo ad ignorare il suo allarme e le sue vibrazioni, saró costretto ad usarla come telefono, per avvertire la mia segretaria che farò tardi al lavoro. Già...la mia sveglia vibra. Vibra per svegliarmi, vibra se qualcuno mi chiama, vibra se sto giocando ad un gioco programmato sullo schermo per simulare una gara di automobili. In questo modo mi avverte se sto andando fuori strada. Frena!!
Ho persino sentito dire da un amico infermiere di pronta emergenza che alcune donne approfittano delle vibrazioni delle proprie sveglie pe
E neanche questa mattina mi sono svegliato di soprassalto.
Mi sono girato nel letto. Si è staccato l’elastico all’angolo del lenzuolo, proprio sopra la mia testa. La sveglia già non suona più. Questo sogno però me lo ha interrotto.
Odio il contatto con il materasso nudo. I tacchi lievi della mia coinquilina fuori dalla stanza mi dicono che sono le 8.10. Sì, questa è la sua bicicletta, la sua catena che gira. Esce. Cerca di non sbattere la porta per non svegliarmi, la adoro. Ho il naso tappato. Soffio.
Ora no, non prendo più sonno. Questa mattina ho deciso che non vado al lavoro. Resto a letto.
martedì 13 gennaio 2009
lunedì 12 gennaio 2009
Versi in prosa
Veniamo da lontano, abbiamo lacci al collo per fermare il fiato
e bende sulla fronte per tenere stretti i pensieri.
E' nell'abbandono che navighiamo, ma non nel silenzio.
Siamo tronchi e corde e siamo nodi.
Siamo vele, siamo forza e occhi per guardare.
Siamo mani e fatica e muscoli e nervi tesi,
siamo zattere.
Non salviamo il salvabile, non traghettiamo, non siamo boe, non siamo fari.
Non trasportiamo cose.
Passati.
Prospettive.
Attese strazianti ed addii.
Nulla ma i nostri corpi.
Rien que nos corps.
Anything but me.
Perchè io sono ritmo. io sono la mano che batte il mare.
io sono il taglio di dita lunghe che apre il mare.
e sono melodia. sono le labbra che sputano vento. sono musica.
Sono zattera,
croma e biscroma, tono e tonale.
Suonatore egoista senza passato.
Ladro sbadato.
Valigia senza pentagrammi
senza applausi
cappello per le monete
angoli di strada vicino al sole
matite per afferrare quel che vola.
Navighiamo allora, su orizzonti vicini
e salutiamoci
se ci incontriamo sulle onde
se avete paesaggi, avete calore,
avete legna e chiodi per fare i teatri,
lingue diverse ed occhiali,
rughe sul viso ed il suono dei bicchieri per voce.
e sul dorso dell'acqua scivolando sorrideremo
Per avere e per sempre vent'anni.
e insieme il doppio, e insieme cento.
e insieme,
insieme.
domenica 11 gennaio 2009
Caro amico mio
non è facile cominciare a scrivere. E non è facile cercare di rispondere al tuo messaggio.
Ci sono ancora molte cose che non son chiare nella mia testa.
Per ora prendo il tuo blog come un invito alla corruzione. All’indisciplina del momento.
Innanzitutto bisogna fare attenzione a non sbagliare obiettivo. Quindi, proviamo.
Penso di essere un uomo come tanti altri. Penso di vivere il momento del passaggio. Penso di essere immerso in un profondo tormento …ma indolore. Bianco. Il passaggio tra l’antico che non c’è più e il nuovo che deve ancora essere.
Davide, hai fatto caso a tutto questo silenzio? Si , sono certo di si! Vorrà sicuramente dire qualcosa, pero’ ? Vuol forse cercare di nascondere la vergogna delle antiche illusioni?
Le cose cambiano veloci e le parole sembrano non bastare per capirne fino in fondo il senso.
E’ forse in questa non – comprensione dell’azione presente che si deve ricercare la nostra inquietudine? Il passato sembra esserci chiaro. Sembra.
E questa chiarezza ci sgomenta e ci sballottola. E se provassimo a rimettere in discussione anche il passato? Che succederebbe? Servirebbe a analizzare il presente sotto un’altra luce? A darci ancora una volta l’illusione che tutto va come deve andare?
E poi c’è la fisicità. Il contatto. Le nostre mani e i nostri occhi. Questa distanza maledetta. Hai ragione a invitarci a “ utilizzare la rete e le sue straordinarie potenzialità”.
Non son sicuro che riusciremo a godere dello stesso godere collettivo ma proviamoci lo stesso. Insieme. Tutti. Forse per un po’ ci farà bene anche questo.
Luca.
sabato 10 gennaio 2009
Cosa rappresenta per me. Dalla domanda di un’amica l’occasione per sganciare la prima zavorra.
davide
venerdì 9 gennaio 2009
principio
venerdì 2 gennaio 2009
Zattera
Futuro. Ho paura di trovarmi spiazzato di fronte a questa parola. Ma non per mancanza di immaginazione. E’ la sensazione d’isolamento che soffoca il respiro dell’anima declinandolo a sospiro da diaframma.
Il rischio più grosso è di perdere il senso della dignità. Accettare perché non si ha scelta. E’ questa la forma che prenderà, il futuro? E quanti ultimatum ancora dovremo digerire? Mi sento isolato e sotto ricatto, probabilmente una forma paranoica indotta.
Non temo la perdita di potere d’acquisto quanto quella di potere d’azione.
Agire ora.
Interagire, prima di tutto, utilizzando la rete e le sue straordinarie potenzialità. Scrivere, dibattere, dare forma ad un generatore di cultura, di culture, di futuro. Attivare canali di ricerca, dare respiro alle nostre idee. Una piattaforma, anzi no, una zattera…
davide