martedì 24 febbraio 2009

Violette

Oggi le strade erano calde di un sole di maggio e alla mia pelle in pieno risveglio primaverile venne in mente di esprimersi indipendentemente dal sistema nervoso. E allora i pori, tutti rianimatisi contemporaneamente dopo un lungo inverno al chiuso, come sotto un incantesimo o chissà, a seguito di una decisione collegiale a cui non ero stato invitato, lentamente si mossero allargando i loro orifizi ed immettendo nell’aria cittadina un inaspettato profumo di prato fiorito. Camminavo allungando i passi per limitare il mio ritardo in ufficio quando, stimolato da questo dolce e avvolgente afflato non potei fare altro che accostarmi prima sul lato meno trafficato del marciapiede e poi parcheggiando i miei settantadue chili nell’insenatura di un portone su calle Aguilera.
Stordito dalle secrezioni alla violetta di centinaia di migliaia di geyser impazziti mi rifugiai al riparo dal tran tran della strada imboccando lo spiraglio tra il portone ed il suo telaio mentre una signora alto borghese in tailleur e cappellino si apprestava a mettere i suoi tacchetti da otto centimetri sui luridi marciapiedi della città accompagnata nell’impresa dai suoi due ridicolmente acconciati chiwawa a pelo corto. L’androne del palazzo, degno proscenio di rifugi marmorizzati dai pendagli di boemia, si sviluppava in un lungo corridoio tutto specchi e moquette vinaccia. Dal tentennamento che si impossessò del mio piede destro nel poggiarsi sul soffice pavimento mi resi conto che avrei fatto meglio a trovarmi rapidamente un solido appoggio prima di stramazzare a terra colpito da nausee e conati.
Mi accostai alla mia sinistra alla porta oblò-dotata del portiere e quando constatai la sua puntuale assenza, raccogliendo le mie residue energie, la forzai manomettendo la serratura ed entrando nella piccola dépendance in penombra. Feci appena in tempo a sbottonarmi il colletto della camicia prima di abbandonarmi esanime sulla sedia imbottita, provvidenziale nel sostenere le mie membra inermi. E così, chiusi gli occhi, iniziai a sognare

venerdì 20 febbraio 2009

macherazzadiincuboèquesto?

Rallegriamoci! Secondo alcuni esperti economici citati ne "El pais" di ieri, “l’Italia è più preparata degli altri paesi ad affrontare questa crisi. Un po’ – prosegue l’articolo - per il suo ritardo strutturale, ma soprattutto per la sua filosofia di vita. Gli italiani hanno meno debiti, sono buoni risparmiatori, non c’è stata nessuna bolla immobiliare (che in Spagna ha provocato una crisi occupazionale interna già prima che si diffondesse l’epidemia finanziaria internazionale) e c’è attualmente una disoccupazione pari solo al 6,7 %. Abituati alla stagnazione, alla crescente collera verso gli immigrati, all’economia sommersa e all’evasione fiscale, gli italiani sembrano felici. Votano il Cavaliere, riempiono i ristoranti. Come già si diceva in epoca romana: quando il Colosseo cadrà, Roma lo seguirà nel suo declino, e quando questa affonderà, il mondo affonderà con lei.”
E festeggiamo! Da lunedì l’Italia è più forte e unita di prima. Finalmente anche la Sardegna ha aderito al progetto dell’ex FORZA ITALIA e dopo il progetto di un ponte per avvicinare la Sicilia ad Arcore, ora aspettiamoci un’altra boutade, che ne so, una Tav tra la Versilia e la Costa Smeralda, per esempio.
Ma prima o poi accadrà l'inverosimile!, l’Italia sarà “commissariata dalla Commissione Europea”, e finalmente si cambierà aria: un presidente del consiglio svedese, ministro degli esteri francese, economia a un tedesco, istruzione danese, interni ad uno spagnolo, salute all'Olanda … ed i nostri amati politici spediti in esilio a Guantanamo ospiti di Obama per un corso di recupero in democrazia partecipata. Yes, we can!

sabato 14 febbraio 2009

Dove siete finiti?

Ahi ahi ragazzi, se nessuno proferisce parola su Saviano dopo aver visto il video, e se il campione di italiani che seguono il blog possa in qualche modo rappresentare la parte del paese di cui Roberto Saviano è simbolo, allora o siamo diventati sordi o siamo diventati muti, ed in entrambi i casi il nostro scrittore coraggioso deve cominciare a temere seriamente per la propria vita, perché, come è accaduto con Falcone e come continua a ripetere lo stesso Roberto, il primo segnale che il progetto dei casalesi si avvicina al fatale compimento è rappresentato dal dispiegarsi di un velo di silenzio.
E se dovessimo perdere Saviano perderemmo uno dei pochi simboli viventi del coraggio di credere nei nostri desideri, diritti, ideali. Pensate a lui non solo richiamando le sue pagine scritte, ma facendo un piccolo sforzo, proiettatevi al suo prossimo romanzo, alla sua prossima sfida a viso aperto, alla sua prossima scomunica. Non possiamo permetterci di perdere una mente come la
sua, una mente come la nostra, una mente come quella di una ragazzo del ’79 …



Pensateci, nel nostro paese il silenzio è contagioso, il coraggio no.

mercoledì 4 febbraio 2009

quando il bambino era bambino

... se ne andava a braccia appese. voleva che il ruscello fosse un fiume, il fiume un torrente, e questa pozza il mare.

quando il bambino era bambino, non sapeva d'essere un bambino. per lui tutto aveva un'anima, e tutte le anime erano tutt'uno.

quando il bambino era bambino, su niente aveva un'opinione. non aveva abitudini. sedeva spesso a gambe incrociate, e di colpo sgusciava via. aveva un vortice tra i capelli, e non faceva facce da fotografo.

quando il bambino era bambino, era l'epoca di queste domande: perché io sono io, e perché non sei tu? perché sono qui, e perché non sono lí? quando é cominciato il tempo, e dove finisce lo spazio? la vita sotto il sole, é forse solo un sogno? non é solo l'apparenza di un mondo davanti a un mondo, quello che vedo, sento e odoro? c'é veramente il male? é gente veramente cattiva? come puó essere che io, che sono io, non c'ero prima di diventare? e che un giorno io, che sono io, non saró piú quello che sono?

quando il bambino era bambino, per nutrirsi gli bastavano pane e mela, ed é ancora cosí.

quando il bambino era bambino, le bacche gli cadevano in mano, come solo le bacche sanno cadere. ed é ancora cosí. le noci fresche gli raspavano la lingua, ed é ancora cosí. a ogni monte, sentiva nostalgia di una montagna ancora piú alta, e in ogni cittá, sentiva nostalgia di una cittá ancora piú grande. e questo, é ancora cosí. sulla cima di un albero, prendeva le ciliegie tutto euforico, com'é ancora oggi. aveva timore davanti ad ogni estraneo, e continua ad averne. aspettava la prima neve, e continua ad aspettarla.

quando il bambino era bambino, lanciava contro l'albero un bastone, come fosse una lancia. e ancora continua a vibrare.


L'angelo Damiel, ne "Il cielo sopra Berlino", di Wim Wenders